One love, one life. Quanti amori in una vita?

| di Alberto Trevellin |

Se parliamo di amori, cioè di persone che amiamo durante la nostra vita, la lista, secondo l’insegnamento del Maestro, dovrebbe essere infinita: – Amate i vostri nemici, – dice Lui, ovvero, amate tutti. A pensarci bene, alla fine della propria esistenza, si riuscirà a fare il computo delle persone che si sono amate? Degli amici, dei parenti, dei colleghi? Quanti amori s’incontrano, in una vita intera?

Ma al di là di questi molteplici amori, di questo nostro amare il prossimo, però, ce n’è uno, uno fra tutti che si differenzia, che fa la differenza appunto. È l’amore del bacio, quello delle labbra, quello con la lingua, quello tra un uomo e una donna che si amano, che dicono, guardandosi negli occhi e sussurrandolo piano, scandendo bene le parole, ti amo.

È strano infatti che per indicare gli altri amori, si faccia fatica a parlare propriamente di “amore”, si preferisce utilizzare un modesto “volersi bene”. Tra maschi, poi, già un ti voglio bene può dar adito a fraintendimenti. Allora si preferisce una vigorosa stretta di mano o un abbraccio. Dalle mie parti, per smorzare queste tre parole che potrebbero minare il senso di virilità, si preferisce dire te vojo ben. Sembra una formula più accettabile per una dichiarazione d’amore amicale e fraterna. Anche ai figli si fa fatica a dire ti amo. Ancor di più ai genitori.

Forse è perché non abbiamo il coraggio di utilizzare un verbo così potente anche con altri che non siano la nostra amata o il nostro amato o, magari, è proprio perché il ti amo deve essere detto, pronunciato, solo al proprio amore, alla persona a cui ci si dona totalmente.

Con la persona amata, quella con cui si decide di condividere il cammino della vita, il ti amo è spontaneo, naturale. Fluisce dalla bocca, come il bacio sulle labbra, che è l’altro aspetto che distingue un amore, dalle altre forme d’amore. Non baceremo mai nessuno, infatti, sulla bocca, se non la persona che amiamo, colei o colui a cui offriamo, in un dono d’amore gratuito, corpo e anima. Non baciamo gli amici sulla bocca, né i figli, né i genitori, né tantomeno quelli che lavorano con noi.

Ma allora, di questo tipo di amore, tra uomo e donna, unico, del bacio con la lingua e del ti amo, quanti se ne possono avere in una vita? Di quanti uomini o di quante donne si può davvero dire è lui, è lei? Di quanti si può affermare, davvero, dal più profondo del proprio cuore, questo è l’uomo della mia vita, questa è la donna della mia vita? Di quanti si può dire sei tu? A quanti si può dire, come nel Cantico dei Cantici, in senso esclusivo, il mio amato è mio e io sono sua? Oppure, come Adamo, paralizzato davanti ad Eva, questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne?

In Genesi, Dio presenta una sola donna all’uomo, quella che lui ha scelto, meglio, quella che lui ha plasmato per Adamo.

C’è da pensare anche questo, in una storia d’amore inserita nella dimensione della fede, che l’uomo e la donna che si amano non si siano trovati per caso o, semplicemente, per la loro libera volontà, ma che qualcuno li abbia fatti incontrare, che qualcuno, che regge il cosmo intero, abbia pian, piano, avvicinato le loro mani, le loro bocche, i loro corpi, fino a congiungerli, con il desiderio che non si separino mai, imitando così l’amore divino, che non conosce fine. C’è da pensare anche questo, che non noi scegliamo l’amore della nostra vita, ma che sia Dio, secondo gli imperscrutabili disegni della provvidenza, a farcelo scegliere, incontrare. Che lo affianchi, cioè che lo ponga al nostro fianco, sulle nostre costole, a memoria di quella leggendaria costola da cui, nel racconto biblico, è sorta la coppia. Poiché Dio provvede non solo al pane quotidiano, ma anche all’amore degli uomini, anzi, è la prima cosa a cui provvede e se le storie d’amore finiscono, è solo perché noi le facciamo finire, in un modo o nell’altro, per le nostre debolezze o, più semplicemente, perché scegliamo da noi, attraverso la nostra libertà, dicendo no, ad un certo punto, alla provvidenza d’amore.

Amici e amiche, con cui ho potuto discutere su questo argomento, mi dicevano più o meno le stesse cose. Qualcuno aveva avuto una lunga storia d’amore, finita per un tradimento, eppure nel periodo precedente il matrimonio con il nuovo compagno, questa amica non smetteva di pensare al vecchio amore, quell’unico amore che avrebbe voluto davvero sposare, portare all’altare. Un altro mi diceva della fidanzata avuta da giovanissimo, mai più dimenticata e poi sempre rincorsa, fino a non trovare più nessuno che la eguagliasse. Un’altra, a cena, di fronte al proprio marito, parlava del suo fidanzato morto in un incidente stradale come dell’unico vero amore che ho avuto nella vita, l’unica persona che ho amato davvero. Un’altra ancora mi diceva che, a cinquant’anni, non amo mio marito alla follia, sì, gli voglio bene, ma il mio vero amore è stato un altro.

Succede, quindi, che ci siano amori che s’incontrano e realizzano in una promessa che dura per tutta la vita, ed altri che per un tradimento, per silenzi infiniti, per cause che a volte sembrano sfuggire alla coppia stessa, finiscono, per sempre, lasciando tuttavia la consapevolezza che fosse proprio quello, l’unico e irripetibile amore della vita, quello, l’unico amore che si sarebbe voluto per la propria esistenza.

È questo che mi hanno fatto capire amici e amiche, cioè che l’amore vero, quello che avevano percepito come unico e irripetibile, non era quello che stavano vivendo ora con i propri mariti, con le proprie mogli, ma si trattava di amori del passato, spesso giovanili, sfuggiti per errore, per non averci creduto fino in fondo, e mai più tornati.

Come accade ne La grande bellezza di Sorrentino, per portare uno dei tanti esempi che si potrebbero trarre al riguardo dal cinema e dalla letteratura, dove Elisa De Santis, la fidanzata degli anni giovanili di Jep Gambardella,  nel diario, scriverà che l’unica persona che ha davvero amato è stato Jep e non il marito, che invece, per ben trentacinque anni, è stato soltanto un buon compagno. E anche Jep, pur avendo avuto numerose donne, durante lo scorrere del film, torna con la mente a lei, sempre e solo lei, giovane, nella luce e al chiaro di luna, nel mare di Napoli. Anche per lui c’è stato solo quell’amore. Anche per lui ce n’è stato uno solo. Tutte le altre erano solo storie, ma non d’amore.

Si potranno, così, avere forse molti amori, anche travolgenti, ma uno solo sarà quello che resta, quello per cui è possibile dire è lui, è lei, come di fronte ad una verità, dinnanzi alla quale non si può che riconoscerla, dire è così, e tutto è illuminato.

E a tal proposito, anche Marco Giallini, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera,  parlando della moglie morta ormai dieci anni fa, alla domanda: – Si è più innamorato? – rispose così: – Ma di chi? Ma perché? Innamorato ero di mia moglie. Per 27 anni, non ci siamo mai lasciati e non abbiamo mai litigato. Lei era la donna mia e io il suo uomo. Nel mondo, quante ce ne possono stare di persone per te? Una.

Su queste affermazioni di Giallini sono tornato spesso… Si è più innamorato? Ma di chi? Ma perché? Nel mondo, quante ce ne possono stare di persone per te? Una. Una…

One love, one life. Un amore, una vita.

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