Il Natale di ogni papà

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di Alberto Trevellin

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Uno pensa di essere pronto a diventare papà, di essere preparato, tanto ormai è la terza figlia, tanto sa già cosa avverrà: attesa (snervante) fuori dalla sala parto, annuncio della dottoressa (“il papà di…?”), sconvolgimento di ogni stato interiore, lacrime, gioia e poi l’inizio dello scoprirsi a vicenda.

E invece man mano che si avvicina al Natale, il suo Natale, sente tutta la trepidazione di quell’attesa, si sente come durante l’Avvento, quando i balocchi e le canzoni infondono ai quei giorni un tocco inspiegabile, esclusivo di quel periodo.

Solo che con la propria figlia le cose stanno un po’ diversamente. La trepidazione non è per le cene o i regali che si consegneranno alla moglie, alle figlie, ai familiari, agli amici, non è neppure per quelli che, pur non volendoli, si riceveranno volentieri. No, lo stato d’irrequietezza viene dal sapere di andare incontro ad una creatura che viene da un altro mondo, un essere che se è vero che nasce qui sulla Terra, da un uomo e una donna che si sono amati, è ancor più vero che prima è stata concepita nella mente di Dio. Ecco, è questo che sconvolge il genitore, il papà di fede. Il suo essere consapevole che tra poco stringerà tra le braccia una donna nuova, mai esista prima e irripetibile, una bambina che ancor prima d’incarnarsi nel grembo di sua madre, è stata generata al di là del tempo e dello spazio, in una regione ignota e irraggiungibile, proprio lì dove abita Dio.

Questo è il vero Natale di quel papà, con la differenza che il dono che riceverà non sarà un ninnolo, un libro, un abbonamento a una rivista, ma qualcosa di eterno, che non verrà intaccato dal tempo, dal passare degli anni. E nessuno, davvero nessuno, può donare qualcosa di eterno se non il buon Dio.

Un figlio è proprio questo: un essere eterno, un essere destinato all’eternità. La sua eternità è proprio il suo essere creatura, prima che degli uomini, di Dio. La morte, della figlia o del padre, sempre tragica e tremenda, creerà al massimo un’attesa tra i due. Ma quando li avrà toccati entrambi, quelli si ritroveranno nell’eternità, immersi nell’amore senza fine che avevano incominciato a pregustare già in questa vita, quell’amore grande che avvertivano tutti e due nello stringersi forte o nel guardarsi negli occhi quando lei ancora non parlava.

Da qui tutta la grandezza e la trepidazione nel trovarsi tra le mani una bambina che ha scavalcato i cieli e che è stata voluta da lassù. Una creatura che Dio ha generato per quel padre. L’uomo di fede sa infatti che non è frutto del caso. L’uomo di fede non crede al caso, crede in Dio. Sa che non gli è capitata casualmente, riconosce piuttosto che egli l’ha scelta per lui, gliel’ha affidata, proprio quella, non un’altra, ma proprio quella che tiene tra le mani piangendo. È una figlia per lui, un essere eterno, più di un angelo, proprio per lui. Un dono inspiegabile, l’unico vero dono che un uomo e una donna dovrebbero desiderare, l’unica vera cosa che stringeranno dopo la morte. Tutto il resto, forse, sparirà o, comunque, non sarà mai stato una creatura generata insieme a Dio. Una casa, una pianta, una macchina, non sono mai co-creati, un figlio sì.

Ebbene da questa co-creazione, il padre sente tutta la responsabilità di un incarico così nobile e celeste, perché appunto non si tratta di ricevere un regalo qualsiasi, ma una figlia, una figlia di Dio, prima che sua.

E cosa si farà? Come sarà, domani, questa sua figlia? Eppure lui di figlie ne ha già due, sa come si cambiano, riesce ormai a intuire i dolori che quelle non sanno spiegare, scruta i loro occhi e scopre quali turbamenti insistono nei loro cuori. Conosce i modi per farle gioire ogni giorno. Sa far loro da mangiare, sa raccontarle storie, sa come portarle via in macchina o, ancora meglio, sulle spalle. Sa, a suo modo, spiegare la vita. Ma tutto questo non basta a dire una figlia. Cosa lo preoccupa, quindi? Cosa lo tiene teso, insonne, tanto che basta una brezza leggera a muovere la tenda della camera per non farlo addormentare più e svegliarlo con una sensazione di calore al petto, quasi un ardere interiore? Non lo sa ben spiegare. Certo, sa che è la figlia che deve nascere, quel suo Natale poco dopo aver festeggiato la Pasqua a metterlo in quello stato, ma di più non sa dire. Può solo balbettare delle frasi, delle sensazioni, ma di più non riesce ad esprimere. Capisce che è una questione di dentro, così è meglio tacere, lasciando la parola al silenzio. Perché alle stanze del mistero, in questa vita, non si può accedere. Egli può solo contemplarlo e intuirne una grandezza e una verità che tuttavia gli restano inafferrabili. È questo che sente, e che lo tiene sveglio: la vicinanza insondabile di un mistero che viene avanti, che si approssima a lui. È sua figlia che viene alla luce di questo mondo, portando con sé quel bagliore che brilla nel giorno del suo Natale.

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