La scuola in cammino. Riflessioni a margine di un progetto del liceo “E. Curiel”

| di Alberto Trevellin |

“La scuola in cammino” è un progetto che quest’anno ho fortemente voluto per il liceo in cui insegno, lo scientifico “E. Curiel” di Padova. Studenti e studentesse dalla prima alla quinta superiore, professori e professoresse, collaboratori e collaboratrici scolastiche, si sono messi insieme sulla strada, lungo i sentieri di montagna, sulle mulattiere, per boschi e crinali.

Solo chi ha camminato con i propri studenti, camminato concretamente e non in maniera metaforica, può capire quale esperienza sia trovarsi per via con loro. 

La scuola è per sua natura un per-corso, un accompagnamento che dura anni, dove ci sono degli educatori e degli educati, cioè alcuni che guidano, che portano fuori, e alcuni che sono guidati, condotti verso una meta.

“La scuola in cammino” è sempre scuola, non è un’attività extrascolastica, certo in orario extrascolastico, di sabato o di domenica, ma è sempre se stessa, è sempre la comunità scolastica che si ricava un momento per rinsaldare e favorire questo essere comunità. Uno dei rischi e dei nodi irrisolti della scuola, infatti, è proprio questo, che, costretta all’edificio scolastico, la si percepisca più come istituzione e meno come comunità, ed è invece su quest’ultimo punto che si dovrà lavorare nei prossimi anni, si è già iniziato, a dire il vero. Realizzare concretamente la comunità scolastica, pur mantenendo la sua istituzionalità.

Far emergere dall’istituzione la comunità è un processo che richiede alcuni accorgimenti, come tempi e spazi diversi da quelli abitudinari. Per favorire questo senso di appartenenza comunitaria, perché ci si senta davvero parte di un gruppo che ha qualcosa in comune, bisogna uscire dalle aule, trovare altri contesti in cui sentirsi parte della scuola. In tal senso, a detta dei ragazzi, ciò avviene durante le cene di classe, nei momenti di autogestione, durante le uscite didattiche, nello svolgersi delle competizioni sportive promosse dai docenti di scienze motorie.

Un altro modo, che ha tutta una sua storia, tutta una sua tradizione ultramillenaria, oltre che letteraria, è certo quello di camminare insieme, di stare insieme, docenti e alunni, sulle cime dei monti o al loro cospetto.

Camminare in montagna, poi, porta con sé tutta quella carica simbolica che è propria di chi si muove dal basso per andare verso l’alto, di chi vuole avvicinarsi alla vetta, al cielo. D’altronde, non è forse questo che fa la scuola? Non è forse elevare i cuori degli studenti alla conoscenza, per sottrarli all’ignoranza? Non dovrebbe forse essere questo il suo compito primario? Ricordare, ancora una volta, che fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza? E lo si fa insieme, allievo e maestro, alunni e docenti. Si cammina insieme. Il docente, infatti, non si limita ad indicare la via, ma a percorrerla insieme all’allievo, con lui. Rifà la strada, quella stessa strada, fino alla fine del suo mandato.

Similmente, è ciò che Virgilio fa con Dante: non gli indica solo la via, ma lo guida per quella via, gli dice dove andare, la percorre con lui e, ad un certo punto, quando non può più proseguire, si ferma e lascia che sia l’allievo a continuare il cammino.

Qual è l’obiettivo? Perché poi, alla fine, bisogna pur giustificare un progetto. Nell’epoca del dominio tecno-scientifico tutto deve essere posto a valutazione, a criteri di performance. Sono metodi aziendali, desunti dal modello economico in cui tutti viviamo. Preferirei dire a chi mi chiede conto del “fine”, vieni e vedi. Perché c’è ancora chi storce il naso di fronte a progetti come questo, tipico di chi contrappone la vita di cultura alla vita in movimento, come se il vero uomo colto, il vero studioso, fosse solo quello che rimane giorno e notte in casa o da qualche altra parte a studiare. Magari studia Abramo, Ulisse, magari la Divina Commedia, tutte storie fondamentali per l’Occidente e che, guarda caso, sono storie di chi si è messo per via, di chi ha dovuto intraprendere un cammino, per trovare un senso alla propria vita e all’esistenza più in generale. La visione di chi ancora propone questa dicotomia è una visione miope e scevra dell’esperienza vera e propria del cammino. Di solito chi critica, chi si oppone, non si è mai messo sulla strada con i propri studenti.

Ma se proprio si deve trovare un obiettivo, una finalità (ce ne sono quante se ne vuole), ecco, uno, il primo, il più semplice, è quello di camminare insieme, di favorire la relazionalità tra pari e con i docenti. È stare con l’altro, incontrarlo, parlare con lui. Non è la media dei voti, ma l’incontro con il Tu che mi dispiega chi sono Io, come ben ci hanno insegnato i filosofi personalisti. E dove meglio realizzare questo incontro se non in un dialogo che si sviluppa durante le lunghe ore di un cammino? 

È promuovere il senso di appartenenza di un gruppo che non condivide solo l’edificio scolastico ma, appunto, un cammino comune, un senso di scuola che supera l’aula.

I piccoli incontrano i grandi, quelli di prima camminano con quelli di quinta, spezzando pacificamente e proficuamente la suddivisione in classi cui l’edificio scolastico ci abitua.

Quale l’obiettivo pedagogico, quindi? Far capire all’allievo e al docente che la loro relazione può fondarsi e stabilirsi solo in una relazione io-tu, di fiducia reciproca, che prenda in considerazione l’altro come simile, in cui la questione “materia”, per un giorno, viene lasciata da parte per privilegiare un rapporto che vada oltre il profitto scolastico, oltre la tagliola del voto, orizzonte a cui, purtroppo, la scuola è spesso ridotta, dove il professore è il giudice e lo studente colui che è giudicato, se non giustiziato.

Camminare insieme serve a superare questo limite della scuola, serve ad incontrare il proprio professore o la propria professoressa oltre le mura scolastiche per scoprirlo in una veste più informale, forse più intima ed amicale e, d’altra parte, a noi insegnanti, serve per andare più a fondo nelle trame dell’animo dei nostri ragazzi. Alcuni di loro si “attaccano” quasi per tutto il cammino e ci si ritrova a dialogare per una, due, a volte tre ore. Solitamente sono solo loro a parlare, rendendo il dialogo una sorta di confessione in itinere. E cosa dicono? Tutto, si aprono completamente, confidando sogni, problemi, amori, speranze. È proprio in quei momenti che il docente, con la propria esperienza, il proprio carico di vita, può intervenire in quella dell’allievo, non tanto per fargli una lezione come la terrebbe in classe, ma per mostrarsi come maestro, come colui che sa davvero indicare una via.

Con “La scuola in cammino” si rende visibile, tangibile, quello che è la scuola, un camminare assieme, con qualcuno che guida, che insegna dove vanno messi i piedi per non cadere e che spiega il mondo che sta intorno, e qualcuno che apprende questo camminare, questi passi. L’alunno comprende che il professore non è uno che vuole farlo fuori, ma che ha a cuore il suo cammino, che sta al suo fianco per la sua crescita, perché la sua strada si faccia più dritta e meno tortuosa.

Anche per gli stessi docenti diventa un momento per conoscersi meglio, più a fondo. Lungo il cammino si conoscono colleghi che, altrimenti, solo vivendo di collegi e consigli di classe, non si conoscerebbero mai. Sotto questo punto di vista sono molto più importanti tre ore lungo un sentiero di montagna che tre anni di scuola. Personalmente ho conosciuto colleghi e colleghe molto di più in questo modo che non durante l’ordinaria vita scolastica.

Certo non è da tutti, è un progetto che richiede gambe e cuore che reggano, un po’ di sacrificio per svegliarsi all’alba, la responsabilità di preparare in anticipo interrogazioni e verifiche che si avranno il giorno successivo all’uscita. Ma chi è venuto ha sempre salutato, a fine giornata, con il sorriso e con un grazie. Chi ha partecipato, ha capito, se ancora non gli era chiaro, che c’è anche una sana fatica, che rivela la bellezza dell’altro e del creato, e che solo attraverso quella fatica è possibile vivere quell’esperienza, di gioia, di bellezza, di comunione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *