| di Alberto Trevellin |
È proprio di ogni amore il desiderio di durare per sempre, in eterno. Non c’è storia d’amore che non desideri ardentemente non vedere mai la fine. Nel “ti amo” che i due amanti si confidano e sussurrano ogni giorno, è celato, sottaciuto, non detto, subito dopo, non tanto il “per ora”, ma il “per sempre”. I due non lo dicono, ma è solo perché il loro “ti amo” include già il “per sempre”. Non potrebbe essere altrimenti. L’amore, l’amore degno di questo nome, non può che chiedere di durare. È egli stesso segnato nella sua essenza dalla vocazione all’eternità.
Solo la relazione sessuale, limitata cioè al rapporto sessuale, accetta la fine, consapevole che la sua durata è vincolata al perdurare del godimento. Terminato il godimento, termina la relazione. Terminato il desiderio di godere del corpo dell’altro, termina anche quel tipo di rapporto. Mentre nella coppia segnata dalla relazione d’amore, dal voler perdurare, il desiderio dell’altro è sempre rinnovato, si fa nuovo ogni giorno. L’eros dei due non si estingue mai.
Se volessimo utilizzare un’immagine per i due tipi di rapporto, uno che finisce, che sa di finire, e uno che non finisce, perché sostenuto dal desiderio e dalla vocazione di durare, potremmo guardare, da una parte, al roveto che arde e si consuma, divenendo cenere, dall’altra al roveto di mosaica memoria, che arde senza consumarsi, che tiene sempre viva la fiamma e il calore, che sempre illumina e riscalda. Da una parte, quindi, le relazioni che attendono la fine e basta, dall’altra quelle che desiderano durare.
Senza questo anelito al durare, infatti, la relazione è ridotta a godimento temporaneo, è destinata a finire. Le storie d’amore che anelano l’eternità, quantomeno che provano a durare, sono, invece, all’opposto di tale desiderio.
Per questo l’amore vero non può che essere quello che vuole durare per sempre. Ogni altra sua forma, benché possa portare in sé una traccia di questo desiderio è, più che altro, un rapporto sessuale. Il suo obiettivo è quello del godimento “finché dura”, finché non si esaurisce la spinta del desiderio. Il primo, invece, ha ugualmente l’obiettivo del godimento, ma ne ha infiniti altri che gli permettono di passare, appunto, dal “finché dura” al “per sempre”.
E certo questa dell’amore eterno è una grande sfida, in un’epoca (ma si tratta solo della nostra?) in cui ciò che viene promosso come amore appare più che altro come un suo surrogato, segnato dal suo essere fluido, liquido, transitorio, mosso esclusivamente dalla voglia, più che dal desiderio, di godere dell’altro per un frangente di tempo limitato, presto destinato alla fine.
Ma da dove proviene questo desiderio di eternità dell’amore? Da dove viene questo desiderio viscerale di due amanti, consapevoli della propria biologica fine, di voler amarsi per sempre? Se tutto è destinato a finire perché l’amore, più di ogni altra cosa, vuole e sente, in un certo senso, di durare, di poter durare? Che cosa permette agli uomini di accettare che molte cose, nella vita, possano finire e che sia giusto che finiscano, mentre la fine dell’amore è considerata inammissibile, tanto da far dire a molti che proprio la fine dell’amore, la sua lacerazione, rivela l’assurdità della vita?
Quale mistero contemplano in sé, presente nella loro storia, gli amanti che durano, che attraversano le decadi? Com’è possibile che essi sperimentino un amore che con gli anni tende ad aumentare anziché diminuire? Cos’è, in ultima, quella sensazione che molti raccontano, di sentire viva la presenza dell’amato anche dopo la sua morte? Cos’è quest’abissale, lacerante, immensa relazione di due che si amano nella frattura temporale, del prima e del dopo? Di che cosa sono testimoni, che cosa illuminano? Su quale verità gettano luce? Non diranno, nelle loro imperfette storie d’amore che cercano la perfezione, quella che nel cristianesimo è considerata una verità, ossia che Dio è amore, come ha detto l’evangelista Giovanni?
Se ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza, nell’essere umano è egli stesso presente, l’uomo stesso gli è simile, anche e soprattutto nella sua realtà ontologica dell’amore. Se l’amore è da Dio, e l’amore di Dio non può che essere eterno, quello che l’uomo percepisce e vive non può che richiamarsi a quell’eternità, non può che cercare di risalire alla fonte originaria di quell’amore temporalmente infinito, giorno dopo giorno, nella relazione amorosa che egli vive.
L’amore viene da Dio, dall’eternità. Per questo ogni storia d’amore chiede di durare per sempre, per questo cerca, visceralmente, quell’eternità da cui sente di dipendere. Stillato dall’eternità nel cuore degli amanti, necessariamente viene abitato da quell’eternità.
È il motivo per cui, nel caso la storia dovesse comunque finire, nonostante la speranza e gli sforzi di farla durare, il fatto viene vissuto come un trauma, come un contrario rispetto a ciò che doveva essere. Come può finire qualcosa destinato ad essere eterno? Com’è possibile la fine di un amore che dipende da un amore infinito?
Quando l’eternità viene ad abitare gli amanti, la parola “fine” o appare come un’impossibilità oppure come un demone che si aggira attorno alla coppia, sempre pronto a finire i due amanti, a separarli. È per questo che ogni separazione è sempre una tragedia, perché spezza la storia d’amore. Proprio dove si pensava che l’amore potesse durare per sempre, almeno fino alla morte, si assiste invece al suo disfacimento, al suo sfaldarsi, alla sua fine.
Ma l’uomo è segnato in tutto il suo essere da questo anelito all’amore eterno. L’uomo e la donna di fede non solo sperano in questo tipo di amore divino, ma sperano pure che questo si realizzi nella loro storia. Nel loro dirsi “ti amo” riecheggia, come bisbiglio, il “ti amo” di Dio per gli uomini, per ogni singolo uomo, un “ti amo” eterno.
E per quanto conflittuale possa apparire questo amore perfetto che ne incontra uno limitato, per quanto nell’uomo convivano la consapevolezza della morte e quella dell’immortalità, questo desiderio rimane, vuole realizzarsi, non solo idealmente, ma nella carnalità della relazione.
È una vocazione, ma non nel senso che sia una questione per alcuni, per pochi eletti che Dio chiama a questa forma di amore, è vocazione perché ogni amore non può che essere così, chiamato, cioè, ad essere eterno, a non finire, ad essere Paradiso degli amanti.
Nell’amore di una coppia che dura si manifesta, infatti, qualcosa di miracoloso e tremendamente sacro allo stesso tempo, si rende evidente che l’Eden eterno non è solo questione del dopo, ma già ora è tempo per gli amanti di camminare, di abitare il giardino creato per loro. Quel loro durare è già vivere nel giardino eterno. La storia d’amore che vive questo slancio diventa il luogo dell’eternità, in cui la vita del dopo è già esperibile. L’eterno non è solo qualcosa da attendere, ma una realtà che pian piano, nell’orizzonte della fede, si disvela agli uomini già in questa vita.
La loro storia diventa un miracolo, il realizzarsi nel finito di una realtà che si attende solo nell’infinito.
Questa si rende possibile, anche e non solo, perché all’amore eterno, all’amore che dura, i due amanti ci credono e hanno consapevolezza di questa possibilità, sanno che bisogna credere al miracolo per poterlo vedere. È una questione di fede, questa dell’amore tra uomo e donna. Non solo di fiducia, ma di fede. È come con Dio.
Bisogna arrivare a questo punto, credere che sia possibile l’amore della fiamma inestinguibile, che arde senza incenerire, senza far sparire.
Sperare che questo amore accada senza credervi, senza impegnarsi perché si realizzi è contrario a ciò che l’amore stesso richiede, cioè d’incarnarsi quotidianamente, di farsi nuovo ogni giorno, se lo si vuole far durare.
Il fatto di essere un miracolo, di essere qualcosa d’inspiegabile, di extra-ordinario, di contrario a come l’amore si presenta nella maggior parte dei casi, cioè destinato alla fine, più che all’eternità, nel momento in cui il desiderio si affievolisce, fino a spegnersi, tutto ciò, appunto, non dipende dal fato, dal caso, da una forza ignota non meglio definita, ma da un atto di fede.
Il miracolo accade solo di fronte alla fede di chi lo chiede, si fa realtà solo dinnanzi a una richiesta. Dio non può intervenire se l’uomo non richiede questo intervento, se non si lascia andare alla preghiera dell’amore.
Il credere all’amore eterno implica la preghiera perché questo miracolo si realizzi. Un miracolo che i due amanti non chiedono una volta per sempre, ma ogni giorno. Non basta sigillare l’amore davanti all’altare. Quel giorno, del matrimonio, non è l’epifania di un miracolo, semmai solo il suo principio, che dipende non tanto da Dio, ma dalla fede degli amanti che proprio lì, nel sacramento, chiedono apertamente quel tipo di amore, quella qualità.
E Dio solo sa quanto sia difficile per gli uomini avere una fede tale da chiedere un miracolo ogni giorno. È una sfida, dicevamo sopra, qualcosa che appare impossibile, ma che, tuttavia, è custodito e sperato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna che vogliano sinceramente concretizzare quell’ardore che sentono quasi carnalmente.
Nel momento in cui questo avviene non dipende solo dalla fiducia che si era riposta nell’altro, nell’amore umano, ma pure nella fede che questo sia ancorato a quello di Dio, che abbia la sua sorgente in Lui. E benché gli aspetti e i motivi su cui si regge una storia d’amore siano innumerevoli, benché ciò che lo permette sia modellato dagli amanti stessi, credere nell’amore eterno, credere che esista questa eternità, da cui tutto dipende, è certo un punto saldo da cui partire per sperare che la propria storia d’amore non abbia mai fine. Perché la vocazione di ogni vero amore è proprio quella di non finire mai.