Teologia in cammino. Parte prima

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Il massiccio del Grappa, per la sua conformazione e per il dedalo di strade, sentieri, vie che lo avvolgono, si presta a svariate attività.

Ci vado spesso, anche con Diletta e Greta siamo saliti più volte lassù. La piccola Teresa non l’ho ancora portata, pare che ai neonati non faccia bene salire oltre i mille metri, dicono.

Questa montagna deve aver suscitato un certo fascino su Diletta, perché ogni volta che vede un monte o anche solo una collina esclama: ‘Ecco il monte Grappa!’.

Non posso nascondere che quando se ne esce con questa frase, un fremito d’orgoglio mi gratifica. Il Grappa è il mio ristoro spirituale, la mia Betania, la cima da cui rivolgo al cielo le mie preghiere più intense. Vorrei lasciare anche questo alle mie figlie, quando morirò, questa mia montagna.

È per questo motivo che vedere già ora le mie figlie apprezzare e chiedere di salire là in alto mi riempie di gioia.

Pochi giorni fa mi dice: ‘Papà? Andiamo sul monte Grappa?’.

Fermi tutti! Battito del cuore che aumenta, sorriso che affiora sulle labbra, sfondata la porta aperta.

Così, Domenica (29 ottobre 2017), con calma, ben lontani dalle levatacce da alpinisti, abbiamo preso la strada Cadorna, quella che da Romano arriva fino alla cima. Non siamo arrivati fin lì però, mi sembra sempre di profanare la montagna arrivando alla vetta in un modo che non sia quello delle proprie gambe o delle proprie braccia.

Abbiamo parcheggiato in un piccolo spiazzo che si apre sulla sinistra, dove la strada oltre che salire, comincia scendere verso Feltre.

Da quel punto, seguendo una vecchia trincea, comincia un sentiero di poco più di un chilometro che porta al sacrario. Alcuni tratti sono molto ripidi, troppo arditi per una bambina di tre anni, per questo avevo portato lo zaino porta-bebè, anche se Diletta non ci stava quasi più.

Iniziamo a salire, subito su tratto impegnativo, e la mia bambina dà il via alle domande, nonché a una conversazione che ricorderò per tutta la vita.

‘Perché ci sono queste buche papà?’

‘Perché qui, tanto tempo fa, i soldati hanno fatto la guerra e le bombe, esplodendo – e qui simulo il boato di una granata – hanno fatto le buche.’

‘I soldati cattivi?’

‘Nessuno era cattivo amore, facevano quello che gli veniva detto di fare. Sparavano e si uccidevano. La guerra è una brutta cosa.’

‘Ma sono morti?’

‘Alcuni sono morti, altri sono rimasti vivi e sono tornati a casa dalla propria famiglia, hanno abbracciato le loro figlie, le mogli. Di sicuro avranno pianto.’

‘Perché?’

‘Perché erano felici di essere di nuovo a casa e un po’ perché erano tristi che i loro amici fossero morti.’

‘Ma adesso sono vivi?’

‘No amore, è passato tantissimo tempo. Tu non eri ancora nata, neanche la mamma e il papà, nemmeno i nonni. È successo tanti anni fa.’

‘Ma sono vivi?’

Qui mi accorgo che l’argomento deve davvero interessarle, perché torna con quella domanda.

‘Adesso sono vivi con Gesù. Tutti vanno da Gesù quando muoiono.’

‘Come Bianca… Bianca è morta… – dice con tono affranto – ma adesso è in cielo con Gesù.’

‘Sì amore.’

Bianca è una vecchia del paese morta poco tempo fa, lei non l’ha mai conosciuta, ne ha solo sentito parlare, eppure la notizia della sua morte l’ha molto dispiaciuta, deve aver mosso in lei una certa riflessione al riguardo.

Nel frattempo eravamo arrivati sul crinale, dove il sentiero si fa pianeggiante.

Ci siamo scattati qualche foto. La giornata era magnifica. Si vedeva bene la catena del Lagorai, cima d’Asta, il monte Pavione, le Pale di San Martino, mentre a sud la pianura rimaneva nascosta da una luminosa cortina di nebbia.

La tolgo dallo zaino e iniziamo a camminare mano nella mano, io e la mia bambina, su questa montagna di Dio.

Vediamo un incavo sul monte, una modesta grotta. Le dico che quella è la grotta dell’orso, perché una montagna senza un lupo o un orso che si aggirino da qualche parte, anche solo immaginari, non può essere una vera montagna.

‘Anche del lupo papà?’

‘No, il lupo ne ha un’altra.’

‘Mi fanno paura i lupi, ho paura che mi mangiano.’ Mannaggia a Cappuccetto Rosso!

‘Non devi aver paura amore, i lupi non sono cattivi. Siamo noi uomini che abbiamo sempre raccontato storie dicendo che i lupi sono cattivi. Pensa a Zanna Bianca! Lui non era cattivo.’

‘Adesso dove sono i lupi e gli orsi?’

‘Qui non ce ne sono più, forse ne è rimasto uno. Sono stati uccisi tutti.’

‘Dai soldati?’

‘No amore, non dai soldati, ma da altri uomini che avevano paura che i lupi mangiassero le pecore o le mucche.’

‘Ma i soldati sono vivi?’

‘Sono morti, adesso stanno con Gesù, in Paradiso.’

‘Ma sono vivi?’

‘Sì amore, con Gesù, sì.’

Fu lì, dopo circa mezzora di cammino, che mi accorsi di star parlando, con una bambina di tre anni, la mia bambina, di Dio, della vita, della morte, del Cielo.

Ne rimasi davvero colpito, sentivo in cuor mio un sentimento di gioia misto a stupore e turbamento.

Lei invece era entusiasta di tutto: del cielo, delle montagne, del rumore del vento forte tra i fili d’erba, di poter infilarsi nello zaino ed essere portata sulle spalle del suo papà.

Mi meravigliava maggiormente quell’insistenza sui soldati morti. Aveva capito che erano morti, che la morte significava finire, ma non le sembrava possibile fosse la fine di tutto, il nulla assoluto, per cui la sua domanda, che percepivo venirle sincera dal cuore risuonava più o meno così: ‘Ho capito che sono morti, ma adesso vivono davvero ancora? Sono davvero con Gesù?’

Sentivo pure che sotto a quella domanda, ne stava rivolgendo un’altra, una domanda che mi interpellava direttamente: ‘Ma tu papà, ci credi? Ci credi veramente?’. La mia piccola teologa era andata dritta al domanda che è il cuore del cristianesimo.

Mi tornarono così alla mente, in un lampo, tutte le mie riflessioni sulla morte, così presenti negli ultimi anni, sulla vita di là, quella dopo. Riflessioni che, nonostante la mia fede sia abbastanza salda, risentono di un certo timore per quel mistero, per quella conoscenza imperfetta.

Eppure quella piccola teologa impertinente non aveva ancora terminato di sorprendermi.

All’ultima mia risposta, quella dei soldati che, sì, vivevano ma con Gesù, mi rispose schiettamente: ‘Sì, sono con Gesù. È lui che mi ha inventato, sai?’

L’asso nella manica di questa piccola, la freccia di Dio al mio cuore e alla mia mente, che tanto hanno speculato e speculano di teologia. Speculazioni che possono solo inginocchiarsi dinnanzi alla teologia dei bambini.

Era come volesse dirmi: ‘Veniamo da Dio, ricordatelo, lui ci ha inventato, e a lui torniamo’ e in testa affioravano le parole, confuse, del salmo… ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati, quando ancora non ne esisteva uno. (Sal 139,16).

Forse quella bambina stava rispondendo con la semplicità dell’innocenza ai miei dilemmi più segreti, quelli che rendono inquieto l’uomo? La sua voce candida metteva forse alla prova la mia fede o desiderava semplicemente conoscere dal suo papà cosa pensasse davvero?

Non le avevo mai detto nulla di simile. Da dove aveva tirato fuori una simile e sincera consapevolezza, tale da non lasciar spazio a dubbio alcuno?

Non credo neppure di averle mai sentito usare quel termine, “inventato”, che è termine dell’artista, di chi crea dal nuovo, di chi fa uscire dalle sua mente e dalle sue mani qualcosa che non si è mai visto. Riferito a Dio dice di chi crea dal nulla, di chi genera creature nuove, uniche, irripetibili.

Può sembrare che queste mie riflessioni siano solo frutto della mia immaginazione, che abbia voluto far dire a mia figlia quel che in realtà lei non intendeva, travisando quelle che forse erano semplici domande… bisognerebbe essere stati lì, su quel crinale di montagna, con quella bambina, per cogliere la sincerità e la verità di quelle sue parole.

Da oggi pertanto, sento di poter dire che un giorno, lungo un cammino, una bambina mi spiegò che veniamo tutti da Dio, lui ci inventa, e a lui tutti torniamo, come quei soldati morti cento anni fa sul monte Grappa.

 

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